mercoledì 13 luglio 2016

La missione civilizzatrice dell'Italia in Africa e la memoria corta degli italiani - Commento

A Bolzano il restauro di un bassorilievo di epoca fascista raffigurante "la missione civilizzatrice dell'Italia in Africa" (sic!) ha, prevedibilmente, scatenato un putiferio, con in testa il Südtiroler Heimatsbund (SHB) ed il suo Obmann Roland Lang. 

Non voglio entrare nel merito del restauro - l'opera era effettivamente pericolante e costituiva un pericolo per l'incolumità dei passanti - bensì chiedermi se ha senso che opere così controverse debbano essere esposte al pubblico ancora oggi. Mi spiego meglio. Sono assolutamente contrario ad una damnatio memoriae che avrebbe potuto avere un senso subito dopo la caduta del regime, ma che ora assumerebbe, dopo settanta anni, l'aspetto grottesco di un goffo e maldestro tentativo di evitare di affrontare una delle pagine più nere della storia italiana e locale, dato che durante la conquista dell'Abissinia combatterono anche diversi sudtirolesi. Ritengo che opere di questo tipo costituiscano una memoria importante, seppur particolarmente problematica, pertanto andrebbero depotenziate attraverso la loro storicizzazione e musealizzazione, possibilmente in modo estremamente critico, onde evitare narrazioni tossiche e mitizzazioni del tutto inappropriate.

Il colonialismo italiano in Africa, anche nella sua fase liberale con Giolitti e i governi precedenti, fu tutto meno che civilizzatore. Si fece larghissimo uso del terrore sulla popolazione civile, come a Tripoli dopo la battaglia di Sciara Sciat nel 1911, dello sfruttamento della manodopera locale come nei grandi latifondi in Somalia, fino ad arrivare a vere e proprie tendenze genocide, come in Cirenaica durante la repressione della rivolta senussa o in Abissinia, dove si fece ampio uso di armi chimiche sulla popolazione civile e si ipotizzò, addirittura, l'uso di agenti biologici. A tal proposito sono rimasto completamente disgustato dall'articolo uscito lunedì sul quotidiano locale Alto Adige, in cui si parla di un quartiere "immalinconito per lo stato i cui versava l'opera" e in cui ci si chiede quale sarebbe stata la reazione di Lang se, malauguratamente, un pezzo del bassorilievo fosse caduto sulla testa di un ignaro passante. 


Nella versione cartacea si parla di restauro che "ha riconsegnato alla città un pezzo della sua storia". Non un accenno alla realtà della "civiltà" italiana esportata in Africa, non una mezza frase di contestualizzazione, non un tentativo di esporre gli eventi in maniera critica. Se in Italia abbiamo ancora enormi problemi a confrontarci con i nostri scheletri nell'armadio, lo dobbiamo anche e soprattutto ad un certo tipo di "intellettuali" e scribacchini. Dal canto mio provo solo pena e disgusto.

1 commento:

  1. Nel commentare io avevo trascritto questo breve passaggio di Del Boca, nell'introduzione a "Italiani, brava gente?". Così anche l'Alto Adige riprende il mito, trascrivendo in modo "innocente" la funzione originaria del bassorilievo. Inconcepibile, oggi.

    “L’Italia giungeva ultima in Africa, a spartizione già avvenuta. […] Sin dall’inizio, disponendo di pochi mezzi e di scarse idee, l’Italia cercava di imporsi esibendo il proprio splendido passato di portatrice di civiltà e sottolineando in tutte le occasioni la sua diversità. In altre parole, si voleva subito stabilire che gli italiani erano differenti dagli altri colonizzatori, più umani, più tolleranti, più generosi. […]
    Il mito degli «Italiani brava gente» è, come abbiamo già detto, intramontabile. Per fare un esempio, l’Italia ha inviato in Iraq nel 2003 un corpo di sedizione denominato Antica Babilonia, modestamente armato e con scarsa conoscenza della situazione. Ma i promotori dell’impresa facevano assegnamento sul fatto che tanto gli alleati quanto gli avversari avrebbero riconosciuto al soldato italiano lo status privilegiato del «buono italiano». E quando, invece, i guerriglieri di Abu Omar al-Kurdi mettevano a segno a Nassiriya un violentissimo attacco contro il contingente italiano, che causava 21 morti, l’episodio suscitava, insieme al dolore, più sorpresa che disapprovazione, come se i guerriglieri di al-Kurdi avessero infranto un patto non scritto ma sottinteso.
    Dietro questo paravento protettivo di ostentato e falso buonismo, si sono consumati, negli ultimi centocinquant’anni, in Italia e nelle colonie, i peggiori crimini. Si pensi, soltanto, a 100'000 libici uccisi tra 1911 e 1932 in aspri combattimenti o nell’inferno dei campi di concentramento. Ai tre giorni di sangue di Addis Abeba dopo l’attentato a Graziani del 19 febbraio 1937. Ai 2000 preti e diaconi assassinati nella città conventuale di Debrà Libanòs, per il semplice sospetto che fossero implicati nella congiura contro Graziani. Alle «bonifiche etniche» praticate nei Balcani.”
    Angelo Del Boca, “Italiani, brava gente?”, Neri Pozza Editore 2005

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